Bustianu e l'Orthobene

Pubblichiamo alcuni ricordi di Sebastiano Satta, scritti dall’Avv. Ciriaco Offeddu nel lontano 1924.
«Aveva un culto per l’Orthobene: ne aveva fatto una persona vivente, quasi una divinità.
Lontano da Nuoro in una lieta visione vede il suo bel monte:


In altra terra, o patria, io bevvi il vino De* tuoi colli; e rividi in una gaia Visione, la fulgida giogaia Di Montalbo e il mio bel monte vicino.
SulTOrthobene, mentre le pecore meriggiano, vede l’ombra di un volo ed il grido di rapina dell’aquila.
Quando ritornava da Sassari nella vecchia diligenza, il primo saluto dalle montagne del Marghine è all’Orthobene.
Poi te salutavamo nel gran raggio D’estate, con non mai spento desio O mio vecchio Orthobene all’apparita.
Oh, lieta di tal gioia, nel lontano Mare, l’Isola antica, che s’inciela Dall’Orthobene a monte Athos sovrano.
Nella vita e nella poesia domina sempre questa grande passione per il vecchio Monte.
Nel cimitero scelse la tomba in vista all’Orthobene, «perché voglio goderlo anche nella morte».


* * *


Era avverso alla costruzione di una strada e diceva: costi sudore la salita a chi vuol vedere; la strada imbastardirebbe il panorama, il bosco e le spelonche. «Omne ignotum prò magnifico».

Due suoi amici avevano scoperto due grossi elei fra la chiesetta di Nostra Signora del Monte e la statua del Redentore, distanti nei tronchi ben quattro metri, si erano congiunti strettamente in alto formando una sola pianta.
Il punto d’inserzione e l’innesto dovuto allo sfregamento dei rispettivi rami, era invisibile, perché la corteccia nelle sue venature non soffriva interruzione alcuna.
Sebastiano Satta salì per vedere il fenomeno: ne restò contento. Ma mentre ciascuno esprimeva il suo parere sul modo e sul tempo di tale unione, egli disse:
«Perché affannarsi in queste ipotesi? Qui l’amore è anche nelle piante! Gli uomini si dilaniano laggiù, qui le piante fanno all’amore! Non ridete, osservate quei due cespugli fioriti, essi sentono, si guardano, s’allegrano, amoreggiano e cantano».


* * *

Raccontò che una volta aveva trovato al monte un lollovese con una bisaccia piena di musco tolto alle piante ed alle roccie: era la provvista dei medicinali per tutta la famiglia.
Tale raccolta si faceva ogni anno e serviva per le coliche e per le emicranie: il solo musco dell’Orthobene aveva quelle virtù; e la sua famiglia in dieci anni non aveva dato una lira ai medici ed ai farmacisti!
Bastava avere una fede sicura nel prendere quei medicinali: a tutto il resto pensava Dio.


* * *

Sebbene libero pensatore, non gli dispiacque il collocamento della statua del Redentore; temeva che col tempo si sarebbe perduto il nome Orthobene: infatti oggi Redentore indica la statua e la regione.
Ammirava lo spettacolo nuovo di una grande moltitudine accorsa da oltre cento villaggi che pregava all’aperto, disseminata fra le roccie intorno all’altare eretto sotto un elee.
Ma la statua coi molti festaiuoli attirò pure pesce cotto e buccie di arancio, prodotti di stagno e di pianura, che guastavano l’aspetto alpestre
e selvaggio del Monte e lo profanavano!


* * *

Qualche anno dopo l’inaugurazione, fu collocata da un comitato, attorno alla statua, una fitta ringhiera di ferro che somigliava ad un gabbione.
Bustianu la volle rassomigliare ad una stia per ingrassare tacchini, e subito lanciò un epigramma che nessuno degli amici ha potuto ricordare e che io ricostruisco in parte negli ultimi versi:
….tanto non mi nuoce (è Gesù che parla) dei Giudei la rabbia. Chè questi mi hanno messo in croce i Nuoresi mi hanno messo in gabbia!
Alcuni giorni dopo, il costruttore della ringhiera impagato del suo lavoro, chiamò in giudizio il Comitato, e poi, stanco delle lentezze della procedura, smontò la gabbia, e su due carri se la riporto nella sua officina.
Bustianu ne provò grande gioia e diceva: «No, non è vittoria del mio epigramma, è un miracolo di Gesù, che volendo riacquistare la perduta libertà, ha rotto i ferri di quel carcere!».


* * *

Giornata afosa di agosto: ultima gita al Monte di Bustianu.
Verso mezzodì vi fu chi notò che il vino se ne andava e che bisognava andare a Nuoro per …rifornimento.
Bustianu lo impedì: «il vino ce lo darà l’Orthobene dalle sue viscere; abbiamo fra noi un rabdomante».
In quel tempo la povera Sardegna, sempre arsa dal sole dalle lunghe siccità, aveva ricorso alla rabdomanzia per dissetarsi: vi avevano ricorso privati e pubbliche amministrazioni.
Tanti esperimenti, altrettante delusioni, e non si trovò fonte nuova!
Perciò la cerimonia che si preparava era anche una satira contro quella quasi generale infatuazione superstiziosa.
Chischeddu Pirari, temperamento di artista, poeta nell’anima sebbene senza versi, «lo nuorese spirito bizzarro», intimo di Bustianu, con una bacchetta di olivastro stretta alle due estremità fra le mani, cominciò a fare assaggi in diversi punti della sua tanca, che ha di fronte la maestosa mole calcarea di Oliena.
Bustianu stava e faceva stare gli altri in gran sussiego come in un rito di ….vino.
Ad un tratto il rabdomante si ferma: la bacchetta si attorciglia e pare che voglia divincolarsi e fuggirgli dai pugni ben stretti.
Silenzio solenne!
«Olà! Scavate qui e ad un metro di profondità troverete: c’è da abbeverare cento bestie, non solamente sei uomini assetati!» è buttò lontano la bacchetta come in segno di vittoria.
Comincia il lavoro: se la fossa non ci darà il vino ti ci ficcheremo dentro, caro rabdomante!
Ma non è necessario ricorrere a questo estremo castigo: ad un metro di profondità cominciano a profilarsi i manichi di una brocca lunghi come quelli ….tanto non mi nuoce (è Gesù che parla) dei Giudei la rabbia. Chè questi mi hanno messo in croce i Nuoresi mi hanno messo in gabbia!
Alcuni giorni dopo, il costruttore della ringhiera impagato del suo lavoro, chiamò in giudizio il Comitato, e poi, stanco delle lentezze della procedura, smontò la gabbia, e su due carri se la riporto nella sua officina.
Bustianu ne provò grande gioia e diceva: «No, non è vittoria del mio epigramma, è un miracolo di Gesù, che volendo riacquistare la perduta libertà, ha rotto i ferri di quel carcere!».


* * *

Giornata afosa di agosto: ultima gita al Monte di Bustianu.
Verso mezzodì vi fu chi notò che il vino se ne andava e che bisognava andare a Nuoro per …rifornimento.
Bustianu lo impedì: «il vino ce lo darà l’Orthobene dalle sue viscere; abbiamo fra noi un rabdomante».
In quel tempo la povera Sardegna, sempre arsa dal sole dalle lunghe siccità, aveva ricorso alla rabdomanzia per dissetarsi: vi avevano ricorso privati e pubbliche amministrazioni.
Tanti esperimenti, altrettante delusioni, e non si trovò fonte nuova!
Perciò la cerimonia che si preparava era anche una satira contro quella quasi generale infatuazione superstiziosa.
Chischeddu Pirari, temperamento di artista, poeta nell’anima sebbene senza versi, «lo nuorese spirito bizzarro», intimo di Bustianu, con una bacchetta di olivastro stretta alle due estremità fra le mani, cominciò a fare assaggi in diversi punti della sua tanca, che ha di fronte la maestosa mole calcarea di Oliena.
Bustianu stava e faceva stare gli altri in gran sussiego come in un rito di ….vino.
Ad un tratto il rabdomante si ferma: la bacchetta si attorciglia e pare che voglia divincolarsi e fuggirgli dai pugni ben stretti.
Silenzio solenne!
«Olà! Scavate qui e ad un metro di profondità troverete: c’è da abbeverare cento bestie, non solamente sei uomini assetati!» è buttò lontano la bacchetta come in segno di vittoria.
Comincia il lavoro: se la fossa non ci darà il vino ti ci ficcheremo dentro, caro rabdomante!
Ma non è necessario ricorrere a questo estremo castigo: ad un metro di profondità cominciano a profilarsi i manichi di una brocca lunghi come quelli delle anfore antiche, e poco dopo, ecco la brocca ricoperta di un terriccio nero ammuffìtto.
Si libera il tappo di sughero dalla ceralacca e dal filo di ferro, e subito, l’odore e quasi contemporaneamente il sapore di un freschissimo Marreri!
Bustianu brindò con la sua voce alta e sonora:
«Frades, viva il rabdomante! Viva la scienza occulta!».
Ma chi ha occultato la brocca? I Fenici, venuti al monte per tagliare alberi alle loro navi e messi in fuga dai sardi pelliti!
La brocca, era stata sepolta «sine luce et cruce», nel dicembre, da Bustianu e da Chischeddu, che già pensavano all’arsura dell’agosto!


* * *

Ma in seguito questa nostalgia per il Monte si andò affievolendo.
«Finché il danno e la vergogna dura, io non metterò più piede lassù, disse un giorno ad un amico che organizzava una gita. Perché?
Ieri il censimento dava presenti 109 villeggianti, di cui venti donne incipriate e vestite di seta, e dodici uomini con le scarpe lucide.
Il Monte Orthobene incipriato!
È il maggiore oltraggio che gli si poteva fare: imporrei un dazio di uscita sulla seta e sulla cipria nel casotto della Solitudine!».

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