La richiesta di offerte per tutta l'Isola
All’invito del Comitato Locale Nuorese avevano risposto con entusiasmo Vescovi, Parroci, Autorità, cittadini, e sardi residenti in Continente. Tutti avevano assicurato il loro obolo per la realizzazione del Monumento.
Da parte sua, l’Arcivescovo di Cagliari D. Paolo Maria Serci, con lettera 9 ottobre 1899 esprimeva il proprio plauso «per lo zelo del Comitato Nuorese ed auspicando che la santa proposta opera abbia uno splendido risultato, che torni di gloria al nostro Divin Redentore»; aggiungeva inoltre «che in Sardegna mai, la Dio mercé, ha serpeggiato il verme distruttore dell’eresia; nell’Isola che mai sempre mantenne viva tra i suoi abitanti quella santa Fede».
Successivamente, il Vescovo cagliaritano, nel febbraio del 1900, si interessava nuovamente del problema, sperando «che mercè lo zelo del Comitato locale e la corrispondenza dei cattolici isolani, la statua colossale, il cui bozzetto uscì testé dalle mani del giovin scultore Jerace, là sull’Ortobene attrarrà a sè i cuori del popolo sardo e assicurerà la pace a quella nobile regione cotanto e sì spesso funestata da indomabili odii e da vendette atroci».
Le prime offerte pervenivano al Comitato, ma non in misura di quanto in un primo tempo sperato. Molti contributi promessi tardavano ad arrivare, e di questo si preoccupò immediatamente il Comitato, che inviò a tutti i Parroci la seguente «eloquentissima circolare» del 12 febbraio 1900:
«Dalle nostre circolari precedenti e da quanto, quasi quotidianamente ne scrivono i giornali, specialmente cattolici, la S.V. non solo sarà venuta in cognizione del progetto di collocare sulla vetta dell’Orthobene un Ricordo del secolo che muore, dedicato all’Immortale Re dei secoli Gesù Redentore, ma avrà anche potuto notare lo slancio col quale sì nobile idea fu accolta in alcune parti dell’isola nostra, ed il lentissimo sviluppo e la poca o niuna accoglienza che ebbe in altre.
Questa fredda apatia di non pochi dei sardi di fronte ad un pensiero tanto sublime non crediamo possa avere altro fondamento, se non la erronea supposizione che il Monumento-Ricordo sia d’esclusivo interesse della città di Nuoro, oppure che si tratti di una cosa della quale non valga la pena di occuparsi.
E a buon diritto diciamo «erronea» tale supposizione: perocché il Monumento più che «nuorese» devesi considerare ed appellare «sardo».
Sia perché dev’essere «unico» in tutta la Sardegna, sia perché — testimonio duraturo e verace — deve significare ai posteri la fede, l’amore, la riconoscenza dei Sardi tutti a Cristo Redentore.
Nè potrà ritenerlo cosa di poco rilievo se consideri appena che esso — oltre al simbolo che esprime — è un capolavoro d’arte in nulla inferiore agli altri diciotto che dovranno nello stesso giorno sorgere su altrettante vette dei monti italici.
Pegno sicuro di questo indiscutibile pregio artistico è il nome dell’illustre scultore prof. Vincenzo Jerace, il quale con uno slancio generoso d’amore verso la nostra povera isola, ci offrì il prezioso contributo dell’arte sua con tale squisita gentilezza e « disinteresse » da non riscontrarsene facilmente esempio.
Accolta la bella offerta con plauso unanime del Comitato, la mente feconda del geniale artista, con largo intuito del grandioso soggetto e dell’insolito ambiente, concepì il Redentore che, scendendo dall’alto, si posa sulla vetta del monte, e protende, con gesto naturalissimo, la destra benedicente.
Sebbene però l’illustre scultore rinunzi a qualunque compenso per l’artistica creazione del suo genio, una spesa considerevole occorre tuttavia per la fusione della statua in grandezza al doppio del naturale, ed altra spesa non indifferente si richiede per la costruzione del granitico piedistallo e successivo collocamento del simulacro.
Il Comitato — precisava la «eloquentissima circolare» — non ha certamente risparmiato nè fatiche nè sacrifici, per raggranellare la somma necessaria, e parecchie offerte furono fatte da più parti dell’isola; ma nè gli sforzi del Comitato nè la generosità dei buoni sono finora sufficienti, ed il prossimo giugno — mese fissato per la inaugurazione — si avvicina rapidamente.
Al fine di ovviare all’onta di un insuccesso completo o d’una riuscita indegna di opera sì bella, si è ora stabilito fare ancora una volta appello al nobile cuore dei sardi, perché la grande iniziativa — da cui tanto bene e tanta gloria può ridonare all’isola tutta — possa felicemente portarsi a compimento.
Chi sente nell’anima il palpito della fede e della religione avita; chi nutre nel petto il sacro amore della terra che ci ha dato i natali; chi ne brama la gloria ed il morale miglioramento; chi, in altre parole, intende l’alto significato dell’artistico «Ricordo» che si vuole erigere sull’Orthobene al Divin Redentore, non potrà niegare il suo contributo per un’opera così santa.
Ed in questa consolante fiducia — termina la circolare — osiamo rivolgerci alla S.V., perché, in vista dei nobili fini propostici e della scarsezza dei mezzi di cui finora disponiamo, voglia cooperare all’attuazione del nostro grandioso progetto, con quell’obolo ch’Ella vorrà e potrà disporre e con quelli che potrebbe ottenere da buoni amici e conoscenti.
Il Divin Redentore darà a tutti larga rimunerazione; il Comitato non può per ora che rendere vivi ringraziamenti e protestare a tutti gli offerenti i sensi della più grande riconoscenza».
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