L'arte dell'innesto
ORTHOBENESSERE
Il pino di Grazia Deledda – La Vigna
L'arte dell'innesto: una storia di sopravvivenza e rinascita
La viticoltura in Sardegna ha una storia millenaria, un intreccio tra saperi tramandati da generazioni e varietà d’uva tra le più antiche del mediterraneo. Ma questa storia ha rischiato di interrompersi bruscamente. Oggi, gran parte dei vigneti sardi, come quelli europei, vive grazie a una tecnica tanto ingegnosa quanto fondamentale: l’innesto. Scopriamo perché.
I Vitigni Autoctoni della Sardegna
La Sardegna custodisce un patrimonio ampelografico di inestimabile valore. Pensiamo a varietà come il Cannonau, uno dei vitigni autoctoni più antichi del Mediterraneo occidentale, che regala vini rossi potenti e fruttati; o il Bovale, intenso e speziato. E tante altre varietà della Sardegna centrale che raccontano secoli di adattamento a climi e terreni specifici, diventando espressione autentica del terroir barbaricino e delle zone limitrofe.
L'arrivo del flagello: La Fillossera
Tuttavia, verso la fine del XIX secolo, un nemico invisibile arrivò dall’America: la Phylloxera vastatrix. Questo minuscolo afide attacca le radici delle viti europee (Vitis vinifera), portandole alla morte per soffocamento e infezioni secondarie.
In pochi decenni, la fillossera devastò quasi completamente i vigneti del continente, Sardegna compresa, minacciando di cancellare secoli di tradizione vitivinicola.
La salvezza arrivò proprio dal continente d’origine del parassita. Si scoprì infatti che le viti selvatiche americane (come Vitis riparia, Vitis rupestris, Vitis berlandieri) avevano sviluppato una resistenza naturale alla fillossera. Non producevano uva di qualità per la vinificazione europea, ma le loro radici erano immuni. Si iniziò quindi a coltivare queste viti per utilizzarle come “portinnesto“, ovvero come base radicale resistente. Queste giovani piantine di vite americana, prendono il nome di “barbatelle“.
La messa a dimora delle barbatelle
Per ricostruire i vigneti distrutti, i viticoltori iniziarono a piantare queste barbatelle di vite americana. La messa a dimora richiedeva (e richiede tuttora) una preparazione accurata del terreno. Queste nuove piante rappresentavano le fondamenta robuste su cui ricostruire il futuro della viticoltura sarda, assicurando la sopravvivenza della pianta all’attacco radicale della fillossera.
Una storia testimoniata anche da Grazia Deledda:
“Dall’alto della china ove finiva la zona coltivata a vigne, don Innassiu Boy assisteva alla ripiantagione delle viti distrutte dalla filossera. Come tutti i vecchi egli rimpiangeva i bei tempi passati, e lisciandosi e stringendo entro il pugno la gran barba bianca, mentre con gli occhi azzurrognoli ancora innocenti guardava le figure grigie e nere dei contadini curvi a ficcar le viti entro le buche già pronte, raccontava alla nipotina Onoria, studentessa ginnasiale, gli usi antichi.”
Le marze autoctone e l'innesto
Ma come preservare il gusto e le caratteristiche uniche dei vitigni sardi? La risposta sta nella “marza“: una piccola porzione di tralcio, dotata di almeno una gemma, prelevata dalle viti autoctone originali (Vitis vinifera) sopravvissute o accuratamente selezionate. La marza contiene il patrimonio genetico della varietà desiderata, quello che determinerà il tipo di uva, il sapore e l’aroma del futuro vino.
L’innesto è la pratica agricola, quasi chirurgica, che unisce queste due parti. Consiste nel praticare un taglio preciso sia sul portainnesto americano (la barbatella ormai cresciuta) sia sulla marza del vitigno autoctono, facendoli combaciare perfettamente. Esistono diverse tecniche (a spacco, a omega, ecc.), ma lo scopo è unico: saldare i tessuti delle due piante affinché crescano come un unico individuo. La linfa della radice americana nutrirà la parte aerea sarda, che svilupperà foglie, tralci e, soprattutto, i preziosi grappoli del vitigno scelto.
Grazie all’innesto, la viticoltura sarda ha potuto superare la crisi della fillossera, salvando i suoi vitigni autoctoni dall’estinzione. Oggi, quasi ogni vite che ammiriamo nei vigneti della Sardegna centrale è il frutto di questa unione: testimonianza della capacità umana di preservare un patrimonio inestimabile attraverso l’ingegno.
L’innesto nella vigna di Grazia Deledda
Dopo l’impegno profuso dai volontari nella messa a dimora delle barbatelle, queste sono ora pronte per la fase successiva: l’innesto.
Le marze delle varietà autoctone selezionate – Cannonau, Nera del Ponte, Bovale (localmente noto come Bovaleddu), Alvarega, Guarnaccia (Granatza) e Pansale – sono state accuratamente recuperate dallo staff di OrthobenEssere e si trovano attualmente in riposo conservate al fresco.
Il prossimo passo cruciale sarà proprio l’innesto di queste preziose varietà. L’operazione sarà condotta da professionisti esperti, affiancati dal prezioso supporto degli appassionati volontari. Questo evento segnerà l’avvio effettivo della sperimentazione vitivinicola, un progetto volto a valorizzare il patrimonio ampelografico locale con i saperi della tradizione nuorese, nello stesso antico luogo che un tempo ospitava la vigna della famiglia di Grazia Deledda.
Come già avvenuto per la messa a dimora delle barbatelle, desideriamo condividere anche questo importante momento con la comunità. L’evento sarà pertanto pubblico e aperto a tutti coloro che desiderano assistere o partecipare attivamente a questa importante iniziativa.
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