Ricordi di un Vecchio Nuorese

«L’Orthòbene, scriveva Piero Pirari, sempre nel 1941, con le sue secolari elei, con le gigantesche e ombrose quercie, ha tutta una storia, storia della vecchia Nuoro, quando il Monte era visitato, fanciulla, da Grazia Deledda, da Sebastiano Satta e da quegli artisti nuoresi, oggi scomparsi, che ne ritraevano le più belle tele.

Esso con la sua impraticabile strada e con la folta vegetazione, quando ancora non era giunta la scure dei pistoiesi, offriva il miraggio alle più belle e liete comitive di gitanti, che nella stagione estiva lo popolavano di canti e suoni, della sana giovinezza di quei tempi; mentre d’inverno, bianco di neve, era soltanto l’asilo dei caprai; vi risiedeva perennemente Ziu Borra, il «re dei mandriani e della montagna».
Le casupole addossate alla chiesa di N.S. del Monte, sorta per voto dei fratelli Pintor dopo una burrascosa traversata del Tirreno, ospitavano d’estate la più numerosa e scelta colonia di famiglie nuoresi.
Figure e tipi, oggi scomparsi contribuivano a dare un tono di patriarcale consenso a quella villeggiatura, e molte famiglie non preferivano San Moritz, Cortina d’Ampezzo ed altre rinomate villeggiature sentimentali, ma trascorrevano quel periodo nella montagna nuorese.
Tutti ancora ricordano le trovate di Ziu Chischeddu «il burlone», il signor Manconi «re dei simposi», Ziu Martoni «il cavaliere delle Genti», e si rammentano della piccola «Grazia», quando con Ziu Totoni e gli altri famigliari, si recava in villeggiatura.
La rivedono fanciulla, quando abbandonava la lieta compagnia per rifug- giarsi solitaria sotto un albero con il suo libro preferito.
La Deledda fra questi immensi scenari che campeggiano giù fra la vallata di Marreri fino al Monte Albo, per quella di Isalle chiusa dagli strapiombi di Mannasuddas pianeggiante fino alla marina di Orosei, la corona dei superbi monti di Corrasi, dove sotto si appollaiano i paesi di Oliena e di Orgosolo, custoditi dalla conca di San Giovanni, quotidianamente si inspirava alle migliori pagine dei suoi romanzi.
E quando calava la sera si accendevano i fuochi a Monte Bidde, dove ora si innalza la statua di Gesù Redentore; era il saluto che davano i villeggianti alla città che si stendeva lunga e biancheggiante, con le sue strade perdute a vista d’occhio fino ai piani di Corte: allora si intrecciava il tradizionale ballo sardo accompagnato dall’organetto di Ziu Lallanu.
Le domeniche a frotte i Nuoresi si recavano alle superbe fonti di Milianu e di Solotti, le patriarcali famiglie portavano le cibarie e non mancava il tradizionale porchetto innaffiato dai più puri vini di Marreri e di Baddemanna, e si fraternizzava in un sereno ambiente di pace e di armonia.
E chi non ricorda Ziu Linu, «falchetto della montagna»? Vigile, sempre attento, era la guida dei forestieri che volevano visitare l’Ortobene: aveva alloggio in una diroccata casupola, accanto alla chiesa della Solitudine, solitaria chiesetta che si presenta all’imbocco della strada ripida e scoscesa.
Si offriva come guida per pochi soldi e qualche sigaro: era un cicerone dei più raffinati e non si disdegnava con il suo dialetto nuorese di presentare tutto il mistero e le bellezze della montagna, poiché da fanciullo aveva frequentato quel monte come capraio e non si era ritirato che vecchio.
Narrava la leggenda che vigeva sull’Ortobene: si parlava della grotta di Mamudine inesplorata, custodita da un grosso cane mastino che dilaniava chiunque osasse penetrare negli ampi antri.
Leggenda popolare, che parla ancora di quel pastore, il quale, avventurandosi nella grotta, si smarrì e soltanto dopo quattro giorni, vedendo un po’ di luce da una fessura, riuscì a stento ad uscirne, ma perì poco dopo dallo spavento!
Ziu Linu raccontava che il pastore avesse visto dei vitelli d’oro e che si trasformarono in pietra quando osò toccarli; fantasia popolare che ancora si alimenta fra il popolino, particolarmente per il fatto che nessuno, oggi, ha più trovato l’ingresso a questa grande grotta.
Del 1901 si ricordano le grandi feste per la inaugurazione della Statua: è ancora vivo il ricordo della fantasmagorica visione del monte popolato da migliaia di persone indossanti i più belli e ricchi costumi della Sardegna.
Spettacolo simile forse non fu mai visto!
I cuccuzzoli del monte, che attorniavano la statua dell’Jerace, erano zeppi di questa multicolore folla di fedeli e pellegrini appollaiati su quelle cime e sugli alberi, che con quei costumi offrivano uno spettacolo di vivacità policroma che una tavolozza di artista non avrebbe potuto riportare!
Ed alla sera mille e mille globi si erano accesi per le case e per le strade cittadine: Nuoro, piccola, sembrava un paese di sogno; si innalzavano solenni le note di un concerto musicale, e la folla assiepava la piazza per godere quella manifestazione d’arte senza precedenti, perché il piccolo paese non aveva e non conosceva ancora la banda musicale.
La piazza San Giovanni, con i suoi cadenti porticati, era teatro della più svariata genia di giocolieri che gridavano ed invitavano al gioco del lotto, aizzando con piccole scommesse la folla festante.
Si confondevano le loro grida con la voce rauca de «sos turronaios» e de «sos carappinnaios» perché in quei tempi non si fabbricavano i gelati; solo i sorbettieri di Aritzo conservavano in profonde buche la neve del Gennar- gentu per fabbricare la gustosa «carapinna», delizia di tutti!
E tante altre manifestazioni falcloristiche, di puro stile sardo, oggi scomparse, si erano felicemente organizzate,
A distanza di quaranta anni il nuorese ha ancora il ricordo di questa sagra, ricordo pieno di nostalgie e di rimpianti; ed i vecchi nuoresi ancora parlano di quella prima celebrazione, che non sarà mai superata per bellezza e solennità, per tradizionale fede a quel Redentore che dall’alto del Monte Ortobene protegge e benedice la sua Nuoro, la città lontana, diafana, distesa ai suoi piedi».

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